Il Sogno di un’Italia – Scanzi e Casale al Teatro Colosseo, ‘Musica e parole’ per svegliare il Paese

Il Sogno di un’Italia – Scanzi e Casale al Teatro Colosseo, ‘Musica e parole’ per svegliare il Paese

di Marco Drogo

Intrattengono, divertono, emozionano ma soprattutto fanno riflettere le 700 persone presenti al Teatro Colosseo di Torino. Andrea Scanzi e Giulio Casale, ne ‘Il Sogno di un’Italia’, ‘1984-2004 Vent’anni senza mai andare a tempo’, riescono a raccontare 20 anni di storia d’Italia, le pagine più controverse e drammatiche, ‘Mani Pulite’, ‘Le stragi di mafia’ con le uccisioni di Falcone e Borsellino, il G8 di Genova, la ‘macelleria messicana’ dell’irruzione nella scuola Diaz e la morte di Carlo Giuliani, l’attuale distanza di molti cittadini dalla politica, frutto della caduta degli ideali e della conseguente disgregazione sociale, l’edonismo degli anni 80, l’avvento delle tv commerciali, l’ascesa di Berlusconi e l’attuale governo Renzi, costruendo uno spettacolo di quasi due ore, che lancia interrogativi più che giudizi, reggendosi sui monologhi di Scanzi, vero mattatore, capace di far ridere e far meditare e sull’ottima spalla, Giulio Casale, che fa da accompagnamento musicale, sottolineando gli snodi cruciali, interpretando canzoni, italiane e internazionali, accuratamente scelte. Da Ivano Fossati ‘Una notte in Italia’ (1986), che apre lo spettacolo, a Edoardo Bennato ‘In fila per tre’ (1974) a Jeff Buckley ‘Hallelujah’ (1994) a Vasco Rossi ‘Liberi Liberi’ (1989), Franco Battiato ‘Povera Patria’ (1992), Francesco De Gregori ‘W l’Italia’ (1979), Giorgio Gaber ‘Il Cancro’ (1976), a ‘C’è tempo’ (2003) di Ivano Fossati, la canzone conclusiva.

Il primo monologo di Scanzi è dedicato alla morte di Enrico Berlinguer, al comizio del 7 giugno 1984 in Piazza della Frutta, a Padova, alla sua ostinazione nel portare avanti il suo discorso, le sue idee, più forte del malore che ha avuto, fino al sacrificio finale. “Se è questo il metro di paragone, il resto non regge – spiega, Scanzi. E’ una slavina che non è soltanto politica, ma ha a che fare con tutto ciò che è o sembra cultura. Ha a che fare anche con la musica: le canzoni sono lo specchio del presente, sono la cartina tornasole per raccontarlo e comprenderlo. Anticipano il futuro e lo indirizzano, lo condizionano. Pasolini sosteneva che le canzoni hanno un potere magico e abbiettamente poetico”.

Lo spettacolo, usando la forma del teatro-canzone, con una scenografia essenziale, una scrivania, una ruota che raffigura un’Italia disunita e una sedia, descrive 20 anni in cui ‘Il deserto dei Tartari’ dell’appartenenza politica, sia a destra sia a sinistra, portava a cercare un’appartenenza ‘altra’, nello sport, nella musica, con le identificazioni per le morti ‘di famiglia’ di Freddie Mercury, Jeff Buckley e Kurt Cobain, nel cinema, con la morte prematura di Massimo Troisi, nello sport con il tragico incidente di Imola che si portò via Ayrton Senna e nella televisione commerciale negli anni del ‘Drive In’, di ‘Ok il Prezzo è giusto’, della ‘Ruota della Fortuna’, le identificazioni con i comici contro, Daniele Luttazzi, Sabina Guzzanti e quelle con la magistratura, con Francesco Saverio Borrelli e Antonio Di Pietro. “Un gran ballo – dice Scanzi – in assenza di meglio, dove mancavano gli attori principali”.

‘Il Sogno di un’Italia’ individua tre momenti principali, tre match-point, in cui il destino del Paese poteva cambiare. Il primo è nel 1976, con le elezioni politiche che vedevano favorito il PCI di Berlinguer. Un’occasione persa da quella generazione, il compromesso storico, l’ascesa di Craxi, gli anni di piombo con il terrorismo rosso e nero. Il secondo match-point è nel 1992, l’anno di Tangentopoli, di Mani Pulite, della Seconda Repubblica e della Strage di Capaci. L’ultimo è il G8 di Genova con la ‘macelleria messicana’ alla scuola Diaz e l’uccisione di Carlo Giuliani. Un Paese che si divide nuovamente, ormai affetto da un cancro.

E ‘l’appartenenza emotiva’ svanisce il 14 febbraio 2004, in uno squallido Residence di Rimini, quando muore Marco Pantani. Scanzi e Casale, proprio come faceva il Pirata, chiedono al Paese uno scatto per abbreviare l’agonia. Per ripartire, sulle orme di grandi esempi come quello di Ferruccio Parri e di Antonino Caponnetto. Per non cedere alla rassegnazione e far trionfare la speranza.