Donne che hanno rivoluzionato la musica, la loro vita e la società. 5 storie incredibili!

Donne musiciste rivoluzionarie Nina Simone
Donne musiciste rivoluzionarie Nina Simone

Donne musiciste rivoluzionarie, le loro storie nel giorno della festa delle donne

di Letizia Reynaud 

5 storie incredibili, loro sono donne meno conosciute al grande pubblico ma che hanno dimostrato di esser donne con la D maiuscola, di saper lottare per la propria libertà di espressione, contro le malattie, contro il pregiudizio, hanno così cambiato non solo la loro vita ma anche quella di chi gli è stato vicino, dando esempi e stimoli a molte altre donne e non solo donne, alla società stessa.

Oggi, nella giornata dedicata al ricordo della grandezza delle donne, ve ne presentiamo cinque, ma di storie come queste c’è ne sono molte molte altre e vale la pena conoscerle tutte.

Miriam Makeba

La storia di Mama Africa inizia nella città di Johannesburg nel 1932. In Sud Africa era ancora in vigore l’apartheid, che limitava fortemente i diritti civili della popolazione di colore. Miriam odiava che la sua terra, la cosa più cara al mondo, fosse piagata dall’intolleranza e dalle discriminazioni: l’unica maniera che aveva per denunciare queste ingiustizie era attraverso la sua musica. Prima con la sua band tutta femminile, le Skylarks, poi da sola, si dimostrò una cantante eccezionale oltre che una fiera oppositrice della politica del Sud Africa. Proprio per questo motivo, mentre si trovava all’estero per dei concerti, il governo le invalidò il passaporto, impedendole di poter ritornare nel suo paese.

Miriam continuò il suo ruolo di attivista negli Stati Uniti, sostenendo il movimento delle pantere nere e testimoniando di fronte alle Nazioni Unite, chiedendo sanzioni economiche nei confronti del Sud Africa. Ritornò nel suo paese al termine dell’apartheid,  che era la politica di segregazione razziale istituita nel 1948 dal governo di etnia bianca del Sudafrica, e rimasta in vigore fino al 1991.

Nel 1990 Nelson Mandela convinse la Makeba a rientrare in Sudafrica. Nello stesso anno Miriam Makeba partecipò come concorrente al Festival di Sanremo 1990 (un’edizione che prevedeva l’abbinamento con i cantanti stranieri), presentando Give Me a Reason, traduzione di Bisognerebbe non pensare che a te, cantato da Caterina Caselli.

Miriam Makeba morì la notte del 9 novembre 2008 a causa di un attacco cardiaco, presso la clinica Pineta Grande di Castel Volturno dove, qualche ora prima, nonostante forti dolori al petto, si era esibita in un concerto contro la camorra, che aveva lì ucciso sei immigrati africani: il concerto era dedicato anche allo scrittore Roberto Saviano.

 

Nina Simone

La giovane Eunice Waymon amava il pianoforte e sognava di poter diventare una famosa pianista classica. Dopo aver studiato anni presso la Julliard School, fece un provino per entrare al prestigioso Curtis Institute, dove venne rifiutata nonostante avesse dato una performance toccante. Convinta che dipendesse unicamente dal colore della sua pelle, Eunice passò al jazz e decise di farsi chiamare Nina Simone: fu per non deludere i genitori, visto che ora suonava “la musica del diavolo” in alcuni nightclub di Atlantic City.

In breve tempo Nina divenne una delle cantanti jazz più famose al mondo, senza tuttavia dimenticarsi delle ingiustizie che tanto odiava. Denunciò gli abusi della polizia e della politica attraverso le sue canzoni, con le quali voleva dare forza ai suoi fratelli. “La cosa peggiore di questo tipo di pregiudizio” – diceva – “è che per quanto ti senti ferita ed arrabbiata, il pregiudizio alimenta le tue insicurezze, i tuoi dubbi. Cominci a pensare di non essere abbastanza brava.”

Muore il 21 aprile 2003 nella sua casa a Carry-le-Rouet per le complicanze dovute a un tumore al seno dopo una lunga lotta contro la malattia. Secondo le sue volontà, viene cremata e le sue ceneri sparse in vari luoghi dell’Africa, terra d’origine dei suoi antenati.

 

Maria Callas

A vedere la piccola Anna Maria Kalos, nessuno avrebbe pensato ad affibbiarle un epiteto come “La Divina”. Goffa, impacciata e con problemi di peso, Maria sembrava una bambina come tante altre, figlia di immigrati greci stabilitisi a New York. Eppure già in tenera età aveva la voce di una sirena, capace di incantare e commuovere chiunque la ascoltasse. Tornata in Grecia, si diplomò al Conservatorio e continuò a studiare e perfezionarsi, fino a giungere alla meta più ambita di tutte: il debutto a La Scala di Milano. Nel 1951 interpretò la Duchessa Elena ne I Vespri Siciliani, conquistando il pubblico non solo grazie alla sua voce ma anche grazie alla sua recitazione e il suo trasporto emotivo.

È noto come tra il 1952 e il 1954 la cantante perse 36 chili di peso, grazie a dieta, movimento e lavoro. Si parlò di “trasformazione di Callas”, ma rilevantissime furono le conseguenze sull’arte scenica, che Maria portò ad altezze inimmaginabili. Libera e fluida nei movimenti, in condizioni di salute sufficientemente buone, riconcepì le sue creazioni in senso coreografico, imponendo un modello di recitazione fortemente espressionistico, dalla gestualità nervosa.

Maria Callas portò nuova linfa al teatro d’opera facendo riscoprire Bellini e Donizetti al mondo, diventando a tutti gli effetti la soprano più famosa al mondo. Una carriera straordinaria costellata da avvenimenti personali spesso difficili, che però non la distolsero mai dal suo obiettivo.

Tra gli avvenimenti più significativi, un grave incidente all’età di 5 anni a seguito del quale rimase in coma per 22 giorni e che a detta della madre le cambiò il carattere in ribelle, il fatto che la madre stessa per diversi giorni dopo la nascita non la volle vedere in quanto avrebbe voluto un maschio. Le continue critiche che riceveva sia durate i suoi spettacoli in cui agli applausi si affiancavano i fischi e le malelingue sul presunto utilizzo del verme solitario per dimagrire.

 

Sonita Alizadeh

“Lasciami sussurrare, così che nessuno senta che parlo di ragazze in vendita”, raccontava Sonita (Herat, 1997) nella sua Brides For Sale, la canzone con cui diede voce alle oltre 37.000 bambine che ogni giorno sono costrette dalle loro famiglie a sposare uomini molto più grandi di loro, la stessa sorte a cui Sonita riuscì a sfuggire grazie al suo rap.

Scappata con la famiglia dall’Afghanistan dove, a soli dieci anni, era stata promessa in moglie, Sonita iniziò a mettere in rima la sua storia, ispirandosi a Eminem e alla rap-star iraniana Yas, raccontando dei conflitti e del regime talebano da cui era scappata, della condizione di rifugiata così come del lavoro minorile cui fu costretta per sopravvivere mentre inseguiva il sogno di diventare una cantante rap.

A sedici anni, Sonita fu venduta a un uomo da sua madre, anche lei vittima della tradizione delle spose bambine e di cui la ragazza urlò al mondo nella canzone Brides For Sale  che la portò a guadagnarsi l’attenzione di tantissime organizzazioni umanitarie e con la quale, allo stesso tempo, si salvò dal matrimonio combinato. Dopo aver pubblicato il video su YouTube, Alizadeh è stata contattata dal Strongheart Group, che le ha offerto un visto per studenti per studiare negli Stati Uniti, dove attualmente risiede ed è libera di fare Rap.

Con Brides For Sale la sua voce ha fatto il giro del mondo, ed è grazie alla sua musica che Sonita ha fondato una sua organizzazione, Sonita’s dream, con l’obiettivo di supportare economicamente quelle famiglie che, come la sua, si trovano costrette dalla povertà a vendere le proprie figlie a un’usanza disumana.

 

Sharon Jones 

Fu per decenni sconosciuta, ma negli ultimi anni era diventata una delle più apprezzate cantanti di soul e funk. La cantante soul Sharon Jones, era particolarmente apprezzata per i suoi concerti, che erano sempre molto vivaci e nei quali dimostrava doti vocali eccezionali. Per come riusciva a coinvolgere il pubblico, e per il genere che cantava, Jones è stata spesso paragonata a James Brown.

Jones era nata in Georgia ed era cresciuta a New York, iniziando a cantare soprattutto musica gospel, lavorando come corista ma ottenendo pochi contratti importanti. Negli anni Novanta si ritirò addirittura dalla musica per qualche anno, dopo i pochi successi: fece diversi lavori, tra cui la guardia penitenziaria.

Nel 1996 la chiamò per fare la corista Gabriel Roth, leader della band dei Dap-Kings: Jones entrò nel gruppo e passò a cantante solista, iniziando a farsi notare nel 2002, con il disco Dap Dippin’ with Sharon Jones and the Dap-Kings. Negli anni successivi, Jones collaborò con molti famosi cantanti e musicisti – tra cui Michael Bublé, Lou Reed, David Byrne e Fatboy Slim – e pubblicò altri sei dischi, sempre con il nome Sharon Jones & The Dap-Kings.

Give the People What They Want – un loro disco pubblicato nel gennaio del 2014 – fu nominato ai Grammy tra i migliori album R&B dell’anno. Jones sapeva di avere un cancro al pancreas dal 2013, e aveva subito anche un’operazione: nel 2015 uscì anche un documentario sulla sua vita e sulla sua carriera, Miss Sharon Jones!, diretto da Barbara Kopple, vincitrice di un premio Oscar. Un incoraggiante documentario che racconta la storia di Sharon Jones, tornata a esibirsi trionfalmente nonostante la sua lotta contro il cancro al pancreas.

L’ultimo disco degli Sharon Jones and the Dap-Kings è del 2015, e si chiama It’s a Holiday Soul Party. La cantante muore a Cooperstown all’età di 60 anni, il 18 novembre 2016 proprio a causa del cancro al pancreas.

 

Approfondiamo e portiano anche in Radio queste fantastiche storie ….

🎧Mercoledì 8 Marzo🎧

torna #MusicandthecityLive con una puntata speciale dedicata alle donne e a chi le ama.
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🎙️In Diretta su *Radio Italia Uno * dalle 17 alle 19 con Simona Sorbara e la partecipazione di Letizia Reynaud
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🗒️SPECIALE RUBRICA dedicata alle Donne che hanno rivoluzionato la musica, la loro vita e la società. 5 storie incredibili!

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