Mondo Radio tra Rock e Trend, dalle radio libere ad oggi. 5 grandi nomi a confronto

mondo radio

SPECIALE INTERVISTA A 5 – MONDO RADIO, ROCK AND TREND 

di Letizia Reynaud 

Da un punto di vista sociologico la radio è uno dei mezzi di comunicazione di massa tra i più diffusi e più longevi. Dagli anni 20′ ad oggi, la radio ha visto, sentito e fatto sentire ogni genere di cambiamento tecnologico, sociale, politico, musicale. Oggi più che mai, non solo la radio è una grande compagnia, ma la musica diffusa da essa è la colonna sonora delle nostre esistenze, la voci e le persone che le danno vita fanno un pò parte di noi e noi di loro. Non potendo immaginare un mondo senza musica, non possiamo nemmeno immaginare un mondo senza la sua principale portavoce…

Per parlare di tutto questo, delle loro esperienze e di come vivono e hanno vissuto il cambiamento sia radiofonico che musicale, la direttrice Letizia Reynaud ha intervistato e messo a confronto 5 grandi nomi ed esperti rappresentanti di questo settore, 5 speakers di eccezione, i loro pensieri e le loro emozioni.

GLI INTERVISTATI:

mondo radio andrea de sabato rtl

Andrea De Sabato ( RTL 102.5) Conduttore, dj, produttore di musica dance / nu jazz, voce di spot pubblicitari e jingles conduce due programmi su RTL 102.5  https://www.instagram.com/andrea_de_sabato/?hl=it

 

mondo radio massimo cotto virgin radio Massimo Cotto ( Virgin Radio) Giornalista, scrittore, speaker, autore, direttore artistico, conduttore su Virgin Radio, rock al 100% https://www.instagram.com/massimocottoofficial/?hl=it

 

mondo radio francesca cavalli radio freccia Francesca “LA FRA” Cavalli ( Radio Freccia ) Autrice, voce per spot e doppiaggio, speaker e conduttrice su Radio Freccia, con la sua sveglia il mattino è rock.  https://www.instagram.com/francykavalli/?hl=it

roberto uggeri radio bruno Roberto Uggeri ( Radio Bruno) Conduttore radiofonico, giornalista e voce per documentari, audiolibri e podcast. Ex collaboratore di RTL dal 2015 tra le voci di Radio Bruno. https://www.linkedin.com/in/roberto-uggeri-659377105/

 

 roberto mare radio manila Roberto Mare ( Radio Manila) Attore, doppiatore, presentatore, speaker ex R101, attualmente on air su due emittenti del primo network piemontese, conduttore su Radio Manila. https://www.instagram.com/roberto.mare/

1_Viviamo un momento storico in cui più che mai la radio e la musica sono la maggior compagnia che possiamo avere, tu come la vivi? Quando hai iniziato a fare radio ti immaginavi più come un intrattenitore per il pubblico a cui raccontare la tua esperienza musicale o, al contrario, che potesse essere la radio stessa il mezzo per te per scoprire storie da raccontare?

Andrea DS – Ciao, innanzitutto ci tengo a precisare che la Musica e la Radio (volutamente in maiuscolo) sono la miglior compagnia che io possa avere in ogni giorno della mia vita. Quando sono entrato in quel mondo l’ho fatto per amore sia nei confronti della Radio che naturalmente per la Musica ma mai per amore verso la mia voce o il mio ego. Sto parlando della fine degli anni 70 quando tutto era molto improvvisato, specialmente nelle piccole radio locali o libere come un tempo le chiamavamo e di conseguenza avevi la possibilità di sperimentare e dare spazio alla tua creatività. Indubbiamente in quegli anni cercavo sia di proporre le mie esperienze e le mie emozioni musicali ma era anche terreno fertile per scoprire e raccontare storie di vita vissute. Io divido il periodo storico della radiofonia in tre capitoli: il primo riguarda il monopolio della RAI, il secondo è legato alla nascita delle Radio libere, quella che ti ho raccontato che finisce verso la fine anni 80 e inizio 90, e infine il terzo capitolo che vede le Radio, soprattutto a livello nazionale, diventare grandi aziende. Da quel momento è entrata la matematica, con i suoi numeri, le playlist, il target, il trend, il fatturato, lo streaming ecc ecc ecc… Sono cambiate, certamente oggi sono più professionali e precise ma credo abbiano perso un pò di anima.

Massimo C. – Viviamo un momento storico molto particolare. La radio, sfruttando anche la sua essenza, la sua velocità é ancora la migliore compagnia che ci possa essere é chiaro che nei momenti difficili ci si stringe più attorno alla voce che non intorno ad un immagine ma per questa ragione la voce deve essere consapevole delle responsabilità che ha.  Quando ho iniziato pensavo che la radio fosse essenzialmente magia perché era un contenitore di storie che io potevo raccontare e che gli altri potevano raccontare a me. Era un bellissimo filo rosso e anche una stanza segreta dove io potevo entrare, potevo conoscere, anche se in modo soltanto virtuale, le persone che non avevo mai incontrato e che forse non avrei incontrato mai. La musica ha sempre avuto un’importanza fondamentale ma più di tutto per me era importante la storia, perché una delle caratteristiche (e forse per me la caratteristica migliore dell’arte in generale e della musica in particolare) è la capacità di raccontare storie che possono essere vere,  inventate o verosimili.  Storie di personaggi  che possono raccontare la vita degli artisti ma anche, indirettamente, raccontare la vita nostra.

LA FRA – Quando il 9 Marzo 2020 l’Italia è entrata in lockdown, la radio ha avuto un ruolo di fondamentale importanza. La missione era quella tentare di tenere alto il morale di chi, giorno dopo giorno, aveva iniziato a perdere lavoro, soldi e speranze. Strappare un sorriso a chi stava vivendo il peggior periodo della propria vita, è stato spesso arduo, ma alla fine…l’abbiam portata a casa con grande soddisfazione. Potere della musica e della radio. Quando, nel 1996, mi trovai per la prima volta davanti ad un microfono con il pulsante “ON” acceso pensai: Che figata! Da oggi posso condividere musica e storie con le persone. Avevo solo diciassette anni e tantissime cose da imparare, dalla tecnica alla dizione, passando per l’auto regia. È stato un po’, ma l’avrei scoperto dopo, come prendere la patente; all’inizio sei super concentrata sulla tecnica di guida e poi, molti chilometri dopo, inizi finalmente a goderti il viaggio.

 Roberto U. – Personalmente ascolto la radio in viaggio. Durante gli spostamenti da casa al lavoro e ritorno, la radio mi accompagna mentre vado… in radio, appunto. La musica e la radio non sono mai, per me, un riempitivo, un “brusio”: ascolto quel che va in onda facendo attenzione a cosa e come viene detto (è una deformazione professionale), così come ascolto la musica italiana che mi colpisce per il contenuto dei testi e quella straniera o strumentale per le emozioni che mi trasmette. Quando ho cominciato a frequentare la radio non sapevo neppure che l’avrei fatta: era il 1982, avevo 16 anni. Sono sempre stato timido, introverso, solitario, al limite della misantropia.  Mi sono avvicinato alla redazione del giornale della mia città. La mia intenzione era scrivere. Poi, siccome la redazione del giornale era anche quella della radio, mi ci sono ritrovato senza quasi accorgermene. A forza di passare ore in radio, con pesanti ripercussioni sulla mia carriera scolastica, mi sono appassionato a quel modo di comunicare. Guardavo e ascoltavo chi trasmetteva già da qualche anno – l’avventura delle radio private era cominciata nel ’75 – e ho iniziato a provarci anch’io. Da allora non ho più smesso. Ho cominciato per gioco, non avrei mai immaginato diventasse un mestiere che mi desse da vivere.

Roberto M. – Ritengo che in questo particolare momento storico la radio sia quanto mai importante, funge da collante sociale, punto di riferimento ed aggregazione. Attraverso la radio passano le nostre storie e con leggerezza si cerca di incoraggiare e sdrammatizzare la situazione attuale pur informando in maniera non invasiva. Quando iniziai io a soli 16 anni, la radio era un mezzo nuovissimo ed attraente che ti permetteva di conoscere e farti conoscere attraverso la musica e le storie. La musica era veramente libera ed io mi sentivo la voce e il rappresentante della mia generazione.

2_ Da un anno a questa parte l’industria musicale, in particolar modo quella degli spettacoli live è stata messa a dura prova, molti addirittura in ginocchio, la radio però non si ferma anzi… In che modo hai percepito questo grande cambiamento e pensi che la radio, in parte, possa essere una soluzione? ( per esempio concerti in live streaming radiofonico)

Andrea DS – E’ più di un anno che stiamo soffrendo. Senza concerti, senza teatro, senza discoteche. La Musica e chi vive di quello è in ginocchio. Una mazzata ulteriore per la Musica già in crisi per via dell’era digitale con i dischi che non si vendono più come un tempo. (qui dovrei aprire un capitolo troppo lungo). La Radio resiste ma anche lei ha ricevuto un duro colpo se pensiamo solo al fatto che la maggior parte degli ascoltatori la ascoltano quando sono in auto e con tutte le restrizioni negli spostamenti ovviamente un po’ ne stiamo risentendo. La Radio vive anche di Musica e quindi cerca di fare del suo meglio per aiutarla. Ad esempio RTL102.5 propone ogni lunedì alle 21 – SUITE 102.5 PRIME TIME LIVE-, un programma dove la musica “torna a vivere dal vivo”. Si cerca di sopravvivere nella speranza che si possa tornare presto alla normalità, nel senso di libertà di poter uscire senza mascherine, di poterci abbracciare di nuovo senza paura.

Massimo C. – Lo streaming non potrà mai sostituire il concerto, lo spettacolo dal vivo però potrebbe essere una valida alternativa. Naturalmente vanno studiate le dinamiche, secondo me è un aggiunta che nel corso degli anni potrà essere messa a punto. Penso a tutti quei concerti esauriti che una volta raggiunto il tetto degli spettatori, potrebbero essere raggiunti anche da spettatori lontano migliaia di chilometri. La musica di per se e il rock più di ogni altro genere musicale è aggregazione, condivisione, sudare sotto ad un palco, abbracciare dei perfetti sconosciuti, cosa che ovviamente non può accadere se davanti hai un telefonino o un computer. Il cambiamento è epocale credo che saremo in grado di percepirne la realtà e le conseguenze soltanto tra un anno, per il momento penso che la radio sia stata una zattera per poter continuare a navigare, un salvagente che ci ha tenuto in vita ma che naturalmente deve rigenerarsi, la radio è cambiata anche come mezzo, non si ascolta più soltanto in fm ma anche con modalità e strumenti diversi, quindi la bellezza della radio è continuare a sopravvivere e risorgere ogni volta dalle proprie ceneri magari cambiando abito.

LA FRA – Eh si, in un anno a dir poco orribile per tutti i lavoratori dello spettacolo (musica, teatro, cinema etc..) la radio ha continuato fortunatamente dritta per la sua strada seppur con qualche ostacolo qua e là lungo il cammino. Da anni sono tantissime le emittenti, nazionali e non, che ospitano artisti live per dei mini set unplugged in studio o per interi concerti da club o palazzetti, ma non è certamente questa la soluzione per far ripartire, anche parzialmente, la grande macchina del entertainment. Gli appassionati di musica hanno fame di concerti ma gli addetti ai lavori iniziano ad aver fame veramente. Le istituzioni devono fare qualcosa di concreto, in fretta.

Roberto U. – In realtà anche la radio, come tutti i settori, ha subito un contraccolpo: sono diminuite le entrate pubblicitarie. Diciamo che, grazie alla sua natura e alle nuove tecnologie che permettono di fare ormai qualsiasi cosa, ha retto meglio alla crisi o, nello specifico, hanno retto meglio i gruppi editoriali e le emittenti con solide basi. Tuttavia una flessione c’è stata. Per fortuna non sono diminuiti gli ascolti e questo permette di guardare con fiducia al futuro. Il cambiamento l’ho percepito, appunto, nella pratica, nel modo di lavorare: sono stato costretto, come molti, a condurre il programma in remoto, ricavando uno spazio in casa. Cosa che richiede un iniziale adattamento ma che, per fortuna, oggigiorno si può fare, mantenendo un livello accettabile di qualità.
Quale possa essere la soluzione, in tutta onestà, non saprei. Si, forse lo streaming, potrebbe aiutare. Radio Bruno, ad esempio, ha mandato in onda, proprio recentemente, un concerto, in livestreaming, su tutte le nostre piattaforme (radio-tv-web) in collaborazione con Enrico Ruggeri, dedicato appositamente ai nostri ascoltatori. Dalla prossima settimana, ogni venerdì, dalle cinque di sera, Nek condurrà un programma tutto suo, per due ore, in diretta. Insomma, stiamo facendo il possibile per avvicinare i grandi nomi della musica ai nostri ascoltatori e spettatori, in questo momento di difficoltà.

Roberto M. – In realtà il prezzo dei biglietti dei concerti negli ultimi 10 anni è aumentato notevolmente conseguentemente al calo di vendite di dischi o cd, ma questo non ci ha fatto desistere dall’andare ai concerti live. Questo secondo me è l’unico modo per far sopravvivere gli artisti, ma visto che la pandemia ci nega anche questa possibilità, per salvare capra e cavoli (ovvero loro e noi) forse l’unico modo utile può davvero essere rappresentato dai live streaming e la radio offre un ottima possibilità a tutti per via della facile accessibilità e la forza di penetrazione ed empatia che solo la radio possiede.

3_ Da quando hai iniziato tu ad oggi, il modo di fare radio è cambiato di molto ma alcune regole e caratteristiche penso si debbano mantenere sempre alla base della conduzione, se si quali? 

Andrea DS – Secondo me esistono regole non scritte che si dovrebbero rispettare per una buona conduzione, regole che mi hanno insegnato e spero di riuscire a mettere in pratica. Essere sé stessi e soprattutto parlare in modo chiaro e semplice cercando di esprimersi nel minor numero di parole possibile, per via dei tempi sempre più ristretti e per essere percepito e compreso da chiunque e più facilmente.

Massimo C.Nella radio non puoi fingere, io dico sempre che la radio è Rock la televisione è pop, nel senso che tu hai davanti un microfono, una luce rossa e se ti va bene un tecnico, ma poi non hai nessun altro e al tempo stesso sai che in ascolto ci sono milioni di persone, quindi fare radio è un po’ come avere a che fare con dei bambini, i bambini non hanno mediazioni, non hanno sovrastrutture, se tu sei simpatico loro ti considerano se invece non ti sopportano non ti calcolano. Con la radio è esattamente così se piaci riesci ad arrivare al pubblico se non riesci puoi inventarti qualsiasi cosa ma non riuscirai mai ad ottenere dei risultati. In televisione basta girare la telecamera per inquadrare qualcuno e si può  riprendere fiato, in radio no. Non ho la presunzione di dire che conosco dei segreti, senza dubbio essere spontanei, non leggere mai perché nel momento in cui inizi a leggere smetti di esser spontaneo, avere il rispetto dei tempi e soprattutto renderti conto che tu sei sempre un tramite tra la radio come essenza ed il tuo pubblico. Se ti dimentichi questo il tuo ego si gonfia pericolosamente, smetti di comunicare e diventi un pallone gonfiato.

LA FRA – Vero, negli ultimi 25 anni ne son cambiate di cose. Per esempio, se fino a qualche anno fa ascoltare in onda un’inflessione regionale marcata poteva far storcere il naso a editori e investitori, oggi non più. Anzi, in alcuni casi, un accento riconoscibile può persino rendere il conduttore più empatico (perché spontaneo) all’orecchio dell’ascoltatore. Il conduttore di oggi è ancora attento alla tecnica e a tutte le regole base che il mestiere impone, ma è più comunicativo.

Roberto U. – Come tutte le cose anche la radio cambia. Rispetto a quando ho cominciato, negli anni ’80, si dà meno peso, “all’estetica”, alla forma. A quei tempi, ad esempio, si badava alla buona dizione, la si studiava, almeno io l’ho fatto; avevano maggior successo le voci eufoniche, cioè quelle più gradevoli all’orecchio; ci si applicava nella “tecnica radiofonica”, nella capacità di intonarsi sui brani e sulla musica in sottofondo, di andare quasi a tempo, con l’incedere del pezzo, durante l’annuncio. Tutte cose che sono felice di aver imparato e di cui faccio tesoro. Ma che, in tutta onestà, ingessavano un po’, togliendo spontaneità. Circa vent’anni fa è cambiato tutto. Mi è stato chiesto di decostruire, di lasciarmi andare, di parlare senza “l’abito da lavoro”, come nella vita di tutti i giorni, come al bar con gli amici. All’inizio non nascondo che fu un mezzo trauma. Poi, per continuare a stare al passo coi tempi, mi sono rimesso in discussione.  Per rispondere direttamente alla tua domanda, terrei a mente queste regole:

  1. Dire qualcosa che informi o che diverta
  2. Esprimere frasi con inizio – svolgimento – fine
  3. Allenarsi a farlo nei tempi stabiliti –  L’importante è che chi ascolta capisca quel che sta dicendo chi parla. Fine.

Roberto M. – Da quando ho iniziato io ad oggi il modo di fare radio è cambiato moltissimo, d’altronde ci si deve adeguare ai nuovi linguaggi continuamente e questo ti permette di esserci sempre… Negli 80 e negli anni a seguire l’empatia dell’intrattenitor, la simpatia e la conoscenza musicale erano basilari, i tempi di eloquio molto più dilatati e l’informazione musicale era richiesta dagli ascoltatori che diventavano una parte della tua nuova famiglia. Oggi tutto è più contratto, stereotipato e omologato. Purtroppo non si è liberi di esprimersi musicalmente, lo fanno i programmatori musicali di concerto alle major discografiche, quindi ci si riduce ad ascoltare quei 30 pezzi circa che passano in tutte le radio allo stesso modo con qualche rara eccezione. L’estro, la spontaneità e le conoscenze musicali dello speaker o intrattenitore passano in secondo piano, limitando quindi l’offerta ai fruitori del mezzo. Una recente reunion delle voci storiche di un importante gruppo radiofonico, visto l’enorme successo dell’evento, ha dimostrato come il pubblico negli anni si sia fidelizzato ed abbia apprezzato, si le belle voci ma soprattutto l’empatia e la preparazione emerse nel corso degli anni.

4_ Sempre rimanendo in tema di cambiamento, anche il tipo di musica è ovviamente cambiato col trascorrere degli anni, tanto da aggrovigliare un tale numero di sfumature di generi musicali da non aver più nemmeno chiaro cosa distingua uno dall’altro. Ci sono peró pilastri immortali, come risponderesti alle fatidiche ed ormai più amletiche del “essere o non essere”, domande a seguito…?

_ Il rock è morto? / Che differenza c’è tra Rock e Trend? /  Il Rock é un genere specifico o è un’attitudine che si può applicare a qualsiasi genere?

Andrea DS – La Musica è cambiata? Si ma questo avviene da sempre, così come esiste da sempre il crossover tra i vari generi musicali che aiuta sviluppare nuove tendenze, alchimie che solitamente fanno crescere la Musica.  Diverso è il discorso dei generi musicali. Sembrerò un pazzo ma a parte certe ovvie distinzioni, classica, jazz, rock, pop ecc. ecc., io penso che si debba distinguere la Musica in base a ciò che essa ti trasmette. Indipendentemente dal genere la Musica che non mi regala emozioni è quella che io definisco brutta. Il Rock, ma più in generale la Musica non morirà mai. Essendo un Musiclover ascolto di tutto e fatico a comprendere quelli che si rinchiudono in un unico genere. Io ad esempio adoro jazz, soul, funky, r&b e di conseguenza qualcuno può pensare che io non ami il rock, ma come posso non amare Doors, Led Zeppelin, Rolling Stones o i più recenti Red Hot Chili Peppers, Rage Against The Machine eccetera? Credo che parlare di Rock  in generale sia impossibile, più che altro possiamo discutere su come il termine venga percepito dalla gente. C’è molta confusione. Il Rock non significa solo chitarre distorte e cantanti che urlano, agitando le folte chiome sul palco o spaccando la chitarra a fine concerto, vestiti di pelle nera con le borchie e le catene. La Musica merita ben più di questi clichè! A Sanremo Rock & Trend si è evidenziata questa confusione perché le band partecipanti non sapevano spesso a quale dei due generi appartenevano.  D’altronde possiamo racchiudere i Ramones, Frank Zappa, Iron Maiden, David Bowie, Limp Bizkit, U2, The Clash,Vasco, Santana, Van Morrison, Beatles…(potrei continuare per giorni..) sotto lo stesso generico termine Rock? Io penso proprio di si ma è ovviamente proprio per questo motivo che esistono i sottogeneri. Alla fine penso che esista solo la Musica ed è anche grazie a Lei che oggi sono ancora vivo!

Massimo C. – No il rock non è morto! Certamente il suo stato di salute è un po’ diverso da quello degli 60 /70 e se vogliamo anche degli anni 80/90, dove ci sono state rivoluzioni importanti, quella del rock and roll , quella degli anni 60’ che ha attraversato più generi e più stili, negli anni 70 il punk, negli anni 80 Live AID dove per la prima volta il rock diventa a favore di qualcuno, non soltanto contro, il Grunge degli anni 90, quello che è anche la rilettura del punk da parte di gruppi come i Green Day. Quello che succede di diverso rispetto ad un tempo è che oggi se i giovani devono esprimere il proprio malessere non sempre lo fanno attraverso il rock, in passato questo avveniva in maniera automaticamente. Oggi i generei attraverso cui esprimersi sono molti e con molte sfaccettature, che hanno sottratto spazio al rock. Il rock è cmq in salute ma non è più il genere musicale primario che viene scelto quando un giovane si affaccia alla finestra della musica.

4/2 – Il Trend per definizione è quella moda passeggera che può durare poco o tanto ma che ad un certo punto muore e finisce. Il rock è nato nel 1954 siamo nel 2021 quindi sicuramente non si può dire che il rock sia un trend, anche quando è un po’ passato di moda non è mai scomparso dalle scene, ha sempre resistito. Negli anni 50 qualcuno diceva che il rock era come il morbillo, una volta passate le crosticine poi se ne sarebbe andato per sempre, c’è chi sosteneva che sarebbe durato un battito di ciglia e invece siamo ancora qua a parlarne e se questo accade possiamo essere sicuri che il rock and roll non morirà mai. Dobbiamo anche fare attenzione a far in modo che possa vivere perché c’è una bella differenza tra vivere e sopravvivere.

4/3 – Il rock non è soltanto un genere musicale è uno stile di vita. Ci sono dei punti comuni anche ad altre espressioni artistiche, penso al cinema … Sean Penn e Tarantino sono decisamente Rock, Fellini non lo è … non per questo Fellini è meno importante. Esiste proprio un imbuto dove scorrono le espressioni artistiche ma anche la vita normale nostra di tutti i giorni, posso però affermare con assoluta certezza che l’unica attitudine che il rock deve cancellare e rinnegare è quella della sua pericolosità. Il rock è pericoloso come genere musicale per il pensiero, perché crea dipendenza e allo stesso tempo indipendenza. Quei momenti difficili degli anni 60’ dove si pensava che nessuno sarebbe arrivato allo scoglio dei 30 anni perché bisognava vivere ai 200 all’ora e le droghe potevano allargati la coscienza, hanno creato tanta mitologia ma anche purtroppo tanti morti quindi il rock in qualche modo oggi è quel genere che cerca l’equilibrio tra essere pericoloso, sporco e cattivo senza fare sconti a nessuno ma senza dimenticare che spesso la più grande trasgressione è la normalità.

LA FRA – Ma no che non è morto! E secondo me sta facendo anche gli scongiuri! Si è certamente evoluto, ha subito contaminazioni con altri generi musicali, dal rap alla lirica, ma è vivo e vegeto! Anzi, ti dirò di più, le nuove generazioni di artisti stanno riscoprendo e riproponendo molte sonorità del passato, in chiave moderna.

4/2- Mi viene da ridere al pensiero che oggi il Rock sia di tendenza. Fino a qualche anno fa noi rocchettari eravamo considerati quasi persone di serie B.

4/3 – Ho conosciuto persone rockissime che nella vita hanno affrontato a muso duro difficoltà enormi pur ascoltando pop melodico italiano e persone che, vestite di pelle, borchie e catene con il metal a manetta nelle orecchie, hanno gettato la spugna al primo inciampo. Il Rock è certamente un genere musicale ma è anche, a volte soprattutto, uno stile di vita.

Roberto U. – Il rock è vivissimo e in ottima salute! Come lo sono altri generi che sembrano spacciati o considerati di nicchia, per pochi appassionati. Penso al blues, al jazz o alla classica. C’è spazio per tutti e continuerà ad esserci finché ci saranno persone curiose.

Se per trend intendi la tendenza, la moda, l’orientamento del momento, penso che se la musica è concepita con l’intento di fare arte, difficilmente può essere trend. In genere, quando la musica diventa trend assomiglia più a un prodotto di mercato che non all’arte. Posto che valgono entrambe le finalità: si può essere comunque dei grandi artisti decidendo però di fare qualcosa di ampia diffusione, anche perché uno deve pur campare. Certo, chi riesce a mettere insieme le due cose ha una marcia in più.

Infine, sono un appassionato di storia e su quella mi soffermo: il rock è nato negli Stati Uniti e nel Regno Unito negli anni ’50. Si è sviluppato nel decennio successivo. È un’evoluzione del rock and roll. Andando a ritroso, il rock and roll ha preso vita del rhythm and blues, il quale, a sua volta, è figlio del blues, quest’ultimo, parente stretto del jazz. La storia ci aiuta a capire: questo percorso inizia nelle piantagioni di cotone e prima ancora in Africa. Comincia nel XIX° secolo negli Stati Uniti e nella notte dei tempi in Africa. È frutto di memorie ancestrali, plasmato dalla sofferenza, dalla malinconia, poi trasformato in gioia, energia, passando per il desiderio di cambiamento, rivoluzione, espressione di generazioni che hanno scardinato regole e abitudini. Dietro una singola parola, come rock, c’è tutto questo. È la risposta culturale di quel che veniva chiamato “nuovo mondo”, alla vecchia Europa e alla sua espressione classica. Quindi, si tratta di entrambe le cose: da un punto di vista formale è indiscutibilmente un genere vero e proprio, ma è anche un modo di essere frutto di un percorso lungo quanto la storia dell’uomo e della sua capacità di esprimere la propria creatività.

Roberto M. – Col passare degli anni ovviamente la musica è stata etichettata in maniera diversa, ma la musica rimane … musica! Certo ognuno ha i propri gusti … Qualcuno però dice che il rap è la nuova espressione in rappresentanza del nuovo linguaggio dei giovani, quello che ha soppiantato il rock, quindi il rock non avrebbe più nulla da dire, il rock sarebbe morto ! Beh allora trovatemi qualcuno oggi che faccia la stessa musica “morta” dei Queen, Pink Floyd, Beatles, U2, Velvet Underground, Rolling Stones ect ect oppure solo per restare in italia di un certo Vasco Rossi che riesce a catalizzare l’attenzione e la presenza di più di 200000 persone ad un evento unico. Di cui proprio tu Letizia Reynaud ne hai dato testimonianza. Il rock continua e non morirà mai, la dimostrazione lampante l’hanno offerta i Maneskin vincendo l’ultimo festival di Sanremo, una pseudo rivoluzione iniziata con Manuel Agnelli e gli Afterhours ( loro mentore) che ci ha fatto riscoprire che cosa sia la vera musica suonata con strumenti reali ! Il trend è moda , il rock non passa mai di moda…