Immigrazione, terrorismo, l’amore e la sua fine nei testi del Festival
di Silvia Amato/Ph.Abbruzzese_Reynaud
Indubbiamente l’edizione 2018 del Festival di Sanremo è caratterizzata da testi di trama preziosa e non scontata, attuali e di impatto.
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Tra i campioni, il vincitore del Premio Lunezia, Luca Barbarossa, con il brano “Passame er sale”: la lingua utilizzata è il dialetto, che porta con sè una cultura dai riferimenti millenari, intrisa però di aspetti intimistici. Al centro, una storia d’amore lunga e consolidata (ndr, il brano è dedicato alla moglie), costruita nonostante e grazie agli inevitabili alti e bassi. Rilevante la figura della donna, elemento culturale di forza per la società odierna.
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Per le Nuove Proposte, Mirkoeilcane con “Stiamo tutti bene”, fresco del Premio Jannacci. Il brano tratta il delicato e dibattuto tema dell’immigrazione, attraverso il racconto di un drammatico “viaggio della speranza”. Non è da intendersi come una denuncia fine a se stessa, nè un testo da strumentalizzare politicamente. L’intento da cogliere è quello di ricorrere all’empatia, come chiave di lettura dei fenomeni umani e sociali, dietro ai quali si celano storie intime e private, spesso dolorose, di comuni individui, proprio per questo imprescindibili per una attenta e lucida analisi della realtà odierna.
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Per la classe e l’eleganza, impossibile non citare Ornella Vanoni con Bungaro e Pacifico e la loro “Imparare ad amarsi”. Classica ballata d’amore, ne tratta la fine. Occorre accettare con serenità adulta questo struggente passaggio: imparare ad amarsi, così come a lasciarsi, godendo nel mentre, di ogni singolo istante.
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Infine, Ermal Meta e Fabrizo Moro con “Non mi avete fatto niente”: testo drammaticamente attuale, un inno contro il terrorismo. Celebrazione della vita e della speranza per sconfiggere la paura. La forza delle parole è sottolineata ed evidenziata dalla melodia, un crescendo ritmico quasi folk; un contrasto che funziona e rende il messaggio di immediato riconoscimento e chiara lettura.